In queste settimane abbiamo vissuto la fine di un Pontificato, quello di Benedetto XVI, e stiamo per assistere all'elezione di un nuovo Papa.
Sono momenti storici, nel senso più vero della parola.
Benedetto XVI è (stato) un grandissimo Papa. Molto poco conosciuto: quante persone mi hanno detto in questi anni che "non mi piace questo Papa". Al che io chiedevo: "ma hai almeno letto un suo discorso, una sua omelia, un suo documento? e la risposta era, SEMPRE, "No"!!!!!
Grande teologo, ma grande e semplice nella predicazione e nei documenti.
é uno che non ha paura a farsi delle domande, e delle domande GRANDI, e di dare delle risposte. Basta leggere i suoi libri su Gesù.
Ed ama in modo tutto particolare l'Africa. Continente nel quale, come Papa, è venuto 2 volte. Al quale ha consacrato un Sinodo, e un documento eccezionale: Africae Munus. Continente che ha definito: "il polmone spirituale del mondo"!!!
e adesso... eccoci nuovamente a pregare per la scela di un nuovo Papa. é vero che gli ultimi Papi sono stati uno più grande dell'altro... Vedremo che sorpresa ci riserverà lo Spirito Santo!
Giusto per riflettere sorridendo... vi propongo questo testo del Cardinal Dolan, vescovo di New York...
Circa un
mese fa ero giù a Washington, D.C., - immaginate un po’ – per un altro
incontro.
A colazione quella mattina, fui sorpreso nel leggere, sul quotidiano di quella città, un articolo sulla Chiesa; il mio stupore non veniva dal fatto che riguardasse una storia di Chiesa – di quelle ne pubblicano spesso – ma di leggerne una positiva e che era davvero una bella notizia!
Rivoluzionaria!
Sembra, infatti, che una piccola ma vigorosa parrocchia episcopaliana, San Luca, nella periferia di D.C., Maryland, abbia deciso di accogliere l’invito di Papa Benedetto XVI di riunirsi con Roma.
Il giornale riferiva che l’iniziativa ha comportato coraggio e temerarietà, ma che la decisione ha avuto un solo voto contrario e che i fedeli erano giubilanti.
“Cosa ha motivato tale ardita decisione?”, chiedeva il giornalista. Notando che i parrocchiani erano per lo più di colore, dall’Africa e dai Caraibi, indagava se non ci fossero atteggiamenti “conservatori”.
Ad esempio, domandava se i parrocchiani non fossero scandalizzati dal fatto che la Chiesa anglicana ordinasse attualmente vescovi e sacerdoti anche le donne.
Il Pastore, con calma, rispondeva che ci avrebbe scommesso che la sua gente fosse ben contraria, ma che non era questo il motivo che li aveva spinti a riunirsi con Roma.
“Beh, allora, continuava il giornalista, non sarà che sono arrabbiati perché l’anglicanesimo approva ora il matrimonio tra persone dello stesso sesso e per “il diritto all’aborto?".
Ancora una volta, il Pastore rispondeva: “la mia gente certamente non condivide queste decisioni, ma la nostra opposizione non è stata la ragione per chiedere di riunirci a Roma”.
Ovviamente curioso, il giornalista insisteva a chiedere che cosa infine li aveva decisi.
“Semplice, rispose il Pastore: il nostro desiderio di essere riuniti con il successore di San Pietro, il vescovo di Roma, Papa Benedetto XVI”.
Noi, cattolici da una vita, temo che diamo questo per scontato. O talvolta, consideriamo l’unità con il Santo Padre quasi come una catena, il che sarebbe ancora più triste. Sembra che a volte siamo imbarazzati ad ammettere che una parte essenziale del nostro Credo cattolico è amore e lealtà verso il Papa.
Ma ben di rado, questo avviene con le persone che si convertono alla Chiesa cattolica. Quando, ad esempio, parlo con i nostri catecumeni e candidati, essi hanno un grande desiderio di avere questo vincolo con la loro assicurazione terrena di unità con Gesù e la Sua Chiesa apostolica: il nostro Santo Padre. Ciò fa parte dello splendore e dell’attrazione del cattolicesimo romano. Non per alcuni cattolici che lo sono da una vita. Essi guardano al Papa come gli inglesi guardano alla regina Elisabetta: i britannici sono orgogliosi di lei; la applaudono; è un grande simbolo di unità nazionale – ma non ha alcuna autorità e nulla da dire nella nostra vita.
E’ così che pensiamo del Papa? Che è solo un simbolo?
Parafrasando il grande romanziere cattolico, Flannery O’Connor, “Se il papato è solo un simbolo, che vada al diavolo!”.
Walker Percy, un altro famoso scrittore cattolico – e lui stesso convertito alla fede – osservava: “Non è che noi cattolici siamo l’unica religione con un Papa. Chiunque, ogni religione ha un ‘papa’. E’ solo che, per un cattolico, il ‘Papa’ non sono io. Per un cattolico, io non sono la voce definitiva nella fede; qualcun altro lo è, e noi lo chiamiamo ‘il nostro Santo Padre’.
E proprio la settimana scorsa, un giornalista locale criticava Papa Benedetto, perché mantiene la tradizione della Chiesa di ammettere al sacerdozio soltanto gli uomini. Non è che quel giornalista sia contro il Papa; solamente pensa che merita obbedienza lui stesso, o il prete dissidente da lui esaltato, invece del Papa.
Vengono alla mente queste riflessioni, due settimane dopo che Papa Benedetto XVI ha celebrato il 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, il 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo.
Al cuore della nostra fede cattolica non c’è tanto il Papa, ma Gesù. Solo che noi abbiamo la gioia di credere che Gesù ha incaricato Pietro di pascere la Sua Chiesa, affidandogli le chiavi per farlo; e che il successore di Pietro, il Papa, continua questa missione.
Noi cattolici sappiamo che anche i Papi sono dei peccatori. Per questo, contrariamente all’entusiasta recensore di un’altra “storia sconvolgente del papato” che annunciava domenica scorsa, i cattolici che conoscono la propria storia, non faranno che sbadigliare a quest’ultimo racconto dei peccati papali, sapendo che proprio il primo scelto da Gesù, Pietro, non era affatto un angioletto, e le debolezze del papato provano ancor più l’assistenza divina sulla Chiesa, poiché la grazia di Dio opera nei papi, attraverso di loro, e spesso anche malgrado pontefici peccatori.
Sappiamo pure che il carisma del Papa non è quello di cambiare l’insegnamento della Chiesa per accomodarla ai nostri desideri del momento, ma di spronarci a cambiare la nostra vita per conformarla alla volontà di Dio. A volte, ci vuole l’avvenimento di un’intera parrocchia episcopaliana che si riunisce con Roma, per ricordarci quale grande dono abbiamo nella persona e nell’ufficio del successore di San Pietro.
Raccontava nell’articolo una donna ex anglicana che il momento più emozionante per lei fu quando, durante la Preghiera Eucaristica, il Pastore pregò per “il nostro Papa Benedetto”.
Come notava Walker Percy: “toglieteci Roma, e ci resta Berkeley!” [n.d.t.: la più famosa università degli Stati Uniti].
A colazione quella mattina, fui sorpreso nel leggere, sul quotidiano di quella città, un articolo sulla Chiesa; il mio stupore non veniva dal fatto che riguardasse una storia di Chiesa – di quelle ne pubblicano spesso – ma di leggerne una positiva e che era davvero una bella notizia!
Rivoluzionaria!
Sembra, infatti, che una piccola ma vigorosa parrocchia episcopaliana, San Luca, nella periferia di D.C., Maryland, abbia deciso di accogliere l’invito di Papa Benedetto XVI di riunirsi con Roma.
Il giornale riferiva che l’iniziativa ha comportato coraggio e temerarietà, ma che la decisione ha avuto un solo voto contrario e che i fedeli erano giubilanti.
“Cosa ha motivato tale ardita decisione?”, chiedeva il giornalista. Notando che i parrocchiani erano per lo più di colore, dall’Africa e dai Caraibi, indagava se non ci fossero atteggiamenti “conservatori”.
Ad esempio, domandava se i parrocchiani non fossero scandalizzati dal fatto che la Chiesa anglicana ordinasse attualmente vescovi e sacerdoti anche le donne.
Il Pastore, con calma, rispondeva che ci avrebbe scommesso che la sua gente fosse ben contraria, ma che non era questo il motivo che li aveva spinti a riunirsi con Roma.
“Beh, allora, continuava il giornalista, non sarà che sono arrabbiati perché l’anglicanesimo approva ora il matrimonio tra persone dello stesso sesso e per “il diritto all’aborto?".
Ancora una volta, il Pastore rispondeva: “la mia gente certamente non condivide queste decisioni, ma la nostra opposizione non è stata la ragione per chiedere di riunirci a Roma”.
Ovviamente curioso, il giornalista insisteva a chiedere che cosa infine li aveva decisi.
“Semplice, rispose il Pastore: il nostro desiderio di essere riuniti con il successore di San Pietro, il vescovo di Roma, Papa Benedetto XVI”.
Noi, cattolici da una vita, temo che diamo questo per scontato. O talvolta, consideriamo l’unità con il Santo Padre quasi come una catena, il che sarebbe ancora più triste. Sembra che a volte siamo imbarazzati ad ammettere che una parte essenziale del nostro Credo cattolico è amore e lealtà verso il Papa.
Ma ben di rado, questo avviene con le persone che si convertono alla Chiesa cattolica. Quando, ad esempio, parlo con i nostri catecumeni e candidati, essi hanno un grande desiderio di avere questo vincolo con la loro assicurazione terrena di unità con Gesù e la Sua Chiesa apostolica: il nostro Santo Padre. Ciò fa parte dello splendore e dell’attrazione del cattolicesimo romano. Non per alcuni cattolici che lo sono da una vita. Essi guardano al Papa come gli inglesi guardano alla regina Elisabetta: i britannici sono orgogliosi di lei; la applaudono; è un grande simbolo di unità nazionale – ma non ha alcuna autorità e nulla da dire nella nostra vita.
E’ così che pensiamo del Papa? Che è solo un simbolo?
Parafrasando il grande romanziere cattolico, Flannery O’Connor, “Se il papato è solo un simbolo, che vada al diavolo!”.
Walker Percy, un altro famoso scrittore cattolico – e lui stesso convertito alla fede – osservava: “Non è che noi cattolici siamo l’unica religione con un Papa. Chiunque, ogni religione ha un ‘papa’. E’ solo che, per un cattolico, il ‘Papa’ non sono io. Per un cattolico, io non sono la voce definitiva nella fede; qualcun altro lo è, e noi lo chiamiamo ‘il nostro Santo Padre’.
E proprio la settimana scorsa, un giornalista locale criticava Papa Benedetto, perché mantiene la tradizione della Chiesa di ammettere al sacerdozio soltanto gli uomini. Non è che quel giornalista sia contro il Papa; solamente pensa che merita obbedienza lui stesso, o il prete dissidente da lui esaltato, invece del Papa.
Vengono alla mente queste riflessioni, due settimane dopo che Papa Benedetto XVI ha celebrato il 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, il 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo.
Al cuore della nostra fede cattolica non c’è tanto il Papa, ma Gesù. Solo che noi abbiamo la gioia di credere che Gesù ha incaricato Pietro di pascere la Sua Chiesa, affidandogli le chiavi per farlo; e che il successore di Pietro, il Papa, continua questa missione.
Noi cattolici sappiamo che anche i Papi sono dei peccatori. Per questo, contrariamente all’entusiasta recensore di un’altra “storia sconvolgente del papato” che annunciava domenica scorsa, i cattolici che conoscono la propria storia, non faranno che sbadigliare a quest’ultimo racconto dei peccati papali, sapendo che proprio il primo scelto da Gesù, Pietro, non era affatto un angioletto, e le debolezze del papato provano ancor più l’assistenza divina sulla Chiesa, poiché la grazia di Dio opera nei papi, attraverso di loro, e spesso anche malgrado pontefici peccatori.
Sappiamo pure che il carisma del Papa non è quello di cambiare l’insegnamento della Chiesa per accomodarla ai nostri desideri del momento, ma di spronarci a cambiare la nostra vita per conformarla alla volontà di Dio. A volte, ci vuole l’avvenimento di un’intera parrocchia episcopaliana che si riunisce con Roma, per ricordarci quale grande dono abbiamo nella persona e nell’ufficio del successore di San Pietro.
Raccontava nell’articolo una donna ex anglicana che il momento più emozionante per lei fu quando, durante la Preghiera Eucaristica, il Pastore pregò per “il nostro Papa Benedetto”.
Come notava Walker Percy: “toglieteci Roma, e ci resta Berkeley!” [n.d.t.: la più famosa università degli Stati Uniti].
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