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sabato 9 luglio 2011

PAGINE DA RISCOPRIRE I commenti al Vangelo, di Giorgio Torelli

09-07-2011

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
“Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me;
chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà trovato la sua vita, la perderà;
e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me,
e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta,
e chi accoglie un giusto come un giusto, avrà la ricompensa del giusto…”
Matteo 10, 37-42


Sul lunghissimo filo dei binari, che il sole di un’estate già ampia e possessiva manda in ansioso brillìo, corre a perdifiato il treno di mezzogiorno e frastuona le messi, irrompe in stazioncine per lo sgomento di un attimo, esige strada con un lamento rauco e subito lacerato dall’impeto, scarmiglia i papaveri e porta anche me, spettinato dai giri d’aria, le tende a sbattimento e i vagoni sfrenati.
Torno da Venezia a Milano, lo scompartimento è felicemente vuoto, ci siamo soltanto in due: mia moglie, col sorriso felice di quando viaggiamo insieme, ed io che vado svaporando perché ho finito i giornali e sciolgo la mente da ogni cura.

So cosa mi accade. Poso il capo all’indietro sul tumulto del divano, lascio che il trambusto ferroviario mi scuota, socchiudo gli occhi e permetto al primo pensiero di manifestarsi e dar luogo ai contorni: lo sento che palleggia, rimbalza e si perde.
C’era un cielo intenso poco fa. Adesso, i vapori già lo stemperano, avremo ancora due ore di viaggio. Carlina dice: “Mi piacerebbe fare un pisolino molto piccolo”. Fa sempre ciao con la mano, prima di dormire sorridente. Io ricambio con gli occhi contraddetti dalla luce e la guardo con un moto d’amore, composta nell’abbandono di ogni gesto, le scarpette di velluto blu col bottoncino e l’asola, le mani in grembo, e sono minute e così operose. E’ la persona della mia vita, protagonista di ognuno dei giorni – e sono ormai tanti – che abbiamo condotto lungo un numero così vasto di stagioni da stupirci per come veniamo, insieme, da lontano.

Eravamo studenti d’università quando avvistammo in cielo l’Orsa Maggiore. Prima, l’avevamo solo sfiorata, e ci pareva un disegno luminoso fra i tantissimi. Una lunga sera che i caprifogli odoravano, consentimmo insieme: “Abbiamo tanta strada davanti, ci sposeremo almeno fra sette anni. Vuol dire che ogni 31 dicembre conteremo una stella dell’Orsa in più, sarà il nostro calendario appeso nel cosmo. Finita l’Orsa staremo sempre insieme”. L’Orsa non bastò, ci volle anche la Polare.
Un mattino, salimmo un passo dell’Appennino, dov’è una chiesa fra i venti come un brigantino in mare aperto. I boschi dei castagni stormivano a gran foglie e si vedevano – acuti – gli empiti gialli delle ginestre. Le mani erano trepide nello scambio degli anelli e un frate, che pregò tanto nella sua vita coi sandali, andava pedalando un vecchio armonium di legno sbiadito: diventavamo uno, eravamo così giovani che m’intenerisco a ripassare.

Il treno supera le chiome d’acqua di un fiume che non saprei. Un nuovo pensiero sta dicendo: “Vedi Carlina che dorme? La vedi, no? Le vuoi bene? Tu sai quanto glie ne vuoi. Cosa daresti per lei? Tutto, il doppio di tutto oppure un tutto moltiplicato per le stelle dell’Orsa e la Polare? Tu rispondi che sì, mille volte sì: siete complici, intrecciati, composti, indispensabili l’uno all’altra finché vita vi sostenga. Ma qui ti voglio: il Dio che credi vivo e vero, il Dio con cui hai preso timidamente confidenza fino a consegnargli tanto del tuo divenire, quel Dio – il solo per te, la speranza stessa – ti prescrive di amarlo più che Carlina. E di mettere dopo quanto gli devi in pensieri ed opere, anche i vostri figli come sono e saranno: col dolce senno della madre, coi vezzi trasognati del padre. Tu, viaggiatore di oggi e dei tuoi giorni, che fai? E’ qui che ti voglio”.

Passano persone con valigie, forse cambiano vagone o si apprestano a scendere fra un po’. Uno domanda con accento che direi sassone: “Ferona?”. Preciso che manca poco, lo faccio a gesti, loro s’inchinano. Carlina non s’è svegliata.

Certo. Dio è esigente, e non potrei mai ammettere di collocarlo in una graduatoria di comodo. So di dovergli tutto che sia fuori e dentro di me, Carlina compresa, i nostri figli inclusi, il lungo percorso che mi ha portato fino ai capelli bianchi. Con un’impennata della mente gli tributo, di slancio, il posto: primo e senza discussioni, altissimo, verticale, così al sommo da rendersi non immaginabile, ragion d’essere e promotore d’ogni accento. Non accetto neppur di discutere il suo straripante primato. Viviamo nel palmo della sua mano, la stessa che ha configurato il tutto. Sì, lo accetto o, forse meglio: voglio così, non può essere che così. E, tuttavia, sento il cuore non corrispondermi del tutto.

Dico francamente a me stesso: “Quanto tempo ancora dovrà scorrere – e chissà se ne avrò – perché la mia ferma proclamazione (Dio che svetta) corrisponda a un sentire sorgivo? Amo con ammirazione la paternità di Dio, ma amo tanto anche le creature che mi abitano il cuore. Il Signore lo sa, e non mi resta che chiedergli ancora una mano: quella mano. Con lui ripetitore, capirò”.
Carlina s’è svegliata allo stridere dei freni, le prendo il mento. Una volta, mi scrisse: “Non voglio essere per te un fine, ma soltanto un piccolo mezzo”.

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